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Il saggio analizza le origini, il senso e il significato politico-culturale della costituzione austriaca del 1920, con particolare riferimento al sindacato delle leggi. L'Autore dimostra che l'"invenzione" in Europa della Corte costituzionale, in verità già prefigurata dall'austromarxista Karl Renner e la cui introduzione nel testo normativo austriaco si dovrà poi ad Hans Kelsen, stretto collaboratore proprio del Cancelliere federale, era funzionale a "custodire" la legge e il primato del parlamento, regolando così una garanzia più coerente con il fondamento politico dell'ordinamento giuridico. Viene in tal modo messa in rilievo la trasformazione della giustizia costituzionale in Occidente, a partire dal secondo dopoguerra sempre più orientata ad attribuire al giudice un autonomo ruolo di interprete di ultima istanza, con il rischio, da un lato, di indebolire la legittimazione democratica del diritto positivo e, dall'altro, di favorire - in forza del ruolo delle corti di tutela dei "princìpi" e dei diritti anche quali risultato di interpretazioni evolutive - lo scivolamento dello Stato di diritto verso il cosiddetto Stato dei giudici.